Alla fine di questo excursus, che non ha pretese di completezza, avendo trattato solo alcuni tra gli autori più popolari, possiamo tirare le somme per spiegare come mai le “teorie” paleoastronautiche non vengono prese in considerazione dal mondo accademico e dalla scienza che i loro sostenitori definiscono “ufficiale”.
Innanzitutto, vorrei sottolineare che non ci si sta occupando del tema, molto più vasto, dell’esistenza o meno di altre specie senzienti nell’universo, né ci si è occupati dell’aspetto più spiritualistico e misticheggiante dell’ufologia, come nel caso dei contattisti, ma semplicemente si è seguito la storia dell’idea secondo cui saremmo stati visitati in passato da civiltà tecnologicamente avanzate.
Come si è visto nella prima parte, l’idea per cui degli esseri provenienti da altri pianeti ci avrebbero visitato in passato e sarebbero stati scambiati per divinità fu presentata nei racconti di fantascienza-horror dello scrittore Lovecraft, che la dichiarò espressamente come «100% fiction». Negli Stati Uniti, essa fu nobilitata al ruolo di ipotesi scientifica nell’opera degli astrofisici Sagan e Shklovskii. Nella seconda parte abbiamo visto che in Europa si diffuse grazie all’opera di Pauwels e Bergier, grandi fan di Lovecraft e di Charles Fort, nonché grazie anche a Peter Kolosimo, che pure riteneva verosimili i racconti 100% fiction di Lovecraft. Pauwels & Bergier e Kolosimo, tuttavia, non erano scienziati come Sagan e Shklovskii, anzi si ponevano in aperto contrasto con la scienza cosiddetta “ufficiale” che ritenevano dogmatica. Nella terza parte si è visto come chi afferma che gli antichi testi sumeri ed ebraici parlino di un contatto alieno spesso si trova a forzare la mano e far dire ai testi ciò che vogliono loro, che peraltro non posseggono competenze accademiche pertinenti.
L’ipotesi paleoastronautica è nata quindi come fiction, con Sagan e Shklovskii si è solo temporaneamente avvicinata alla scienza e, una volta rigettata da almeno uno dei due (Sagan), è stata poi resa popolare da altri autori (Pauwels & Bergier e Kolosimo) che si sono posti in aperta polemica con la scienza “ufficiale”, citando peraltro i racconti di Lovecraft come verosimili. Quindi una prima risposta alla domanda su come mai non sia presa in considerazione dal mondo accademico è che finora è proprio chi l’ha proposta e la propone a collocarla volutamente al di fuori dell’ambito accademico.
Una seconda motivazione, ancora più forte della precedente, è quella legata al metodo. Ciò che la scienza cosiddetta “ufficiale” afferma con relativa certezza è quanto viene accertato tramite prove e dimostrazioni, che restano valide fino a che non ne vengano presentate altre nuove e più soddisfacenti. Prove e dimostrazioni che, almeno fin ad ora, gli autori della paleoastronautica non mi risulta abbiano fornito (basti pensare a von Däniken e all’episodio della grotta in Ecuador), preferendo limitarsi ad avanzare semplici ipotesi, che sono basate, come è visto, in ultima analisi su dei racconti di finzione. Le uniche presunte prove finora addotte sarebbero alcuni brani di testi antichi, solo se però interpretati in una certa maniera, che non è quella più razionale possibile, cioè quella storico-critica.
Che differenza c’è, quindi, fra l’approccio paleoastronautico e quello storico-critico ai testi? Il metodo storico-critico consiste principalmente nel raccogliere prima tutti gli elementi che i testi ci mettono a disposizione, collocarli nel loro contesto storico-culturale, confrontarli con i dati desunti da altre discipline quali l’archeologia, l’antropologia, ecc. e solo alla fine trarre la conclusione, tenendo presente tutto ciò che si è raccolto, non solo quello che fa comodo. Per uno storico, il contesto è fondamentale per poter determinare il significato dei singoli termini, quindi del testo stesso, quindi della cultura che lo ha prodotto. Inoltre, senza riscontri oggettivi, uno storico non prende automaticamente per vero qualcosa solo perché è scritta in un testo antico, ma si limita a registrare il dato, cioè che quel testo di quell’epoca e di quella regione dice quella cosa lì.
In confronto all’approccio storico-critico, quello paleoastronautico è, quindi, selettivo, acritico ed eterodisciplinare (se mi si passa il neologismo, che spiegherò più avanti).
È selettivo, perché tiene conto solo di poche vaghe somiglianze che considera prove, salvo poi ignorare i numerosi elementi che contraddicono la propria interpretazione. Per fare un esempio, nella figura che segue, si può notare come la disposizione dei punti dell’ormai famigerato sigillo sumero VA 243 non somigli affatto alla disposizione reale dei pianeti: interpretarla quindi come una raffigurazione del sistema solare è del tutto arbitrario e ingiustificato (tra l’altro anche la ricostruzione fatta dallo stesso Sitchin non solo non somiglia al sistema solare, ma neanche alla raffigurazione del sigillo stesso). L’interpretazione paleoastronautica, quindi, si concentra su una somiglianza estremamente vaga e tralascia le differenze macroscopiche, che invece dicono chiaramente che quella non è una raffigurazione del sistema solare.
Non vi è infatti alcun elemento che faccia pensare che quello raffigurato nel sigillo sia il sistema solare: la disposizione dei pianeti non è neanche lontanamente paragonabile a quella reale, il testo del sigillo parla molto banalmente di una semplice offerta a una divinità e quel segno che rappresenterebbe il Sole in realtà ha sempre indicato una stella qualsiasi del cielo notturno, mentre il Sole stesso è sempre stato rappresentato con un altro segno. Quindi, non avendo tenuto conto del contesto culturale che ha prodotto quel sigillo, sbagliarono Sagan e Shklovskii a interpretarla come una mappa del sistema solare, sbagliò Sitchin ad accettare acriticamente la loro interpretazione e sbagliano quindi quelli che seguono a ruota quest’ultimo senza porsi domande o metterne in dubbio l’affidabilità.

Un altro esempio di interpretazione parziale e selettiva è l’interpretazione paleoastronautica dei Vimana indù: secondo i sostenitori della paleoastronautica, il sedicesimo capitolo del Mahabarata racconterebbe dell’esplosione di una bomba atomica, le cui radiazioni avrebbero causato la perdita di unghie e capelli, che sarebbe descritta nel testo. Jason Colavito ha dedicato l’intero quattordicesimo capitolo del suo Faking History a dimostrare accuratamente come questo episodio sia stato riportato in modo errato ne Il mattino dei maghi e che sia stato poi ripetuto e abbellito di volta in volta da von Däniken (che plagiò i due autori), nel romanzo The Atlantean Horror e da un altro teorico del paleocontatto, David Childress. In tutti questi passaggi, ciò che in originale erano due brani diversi narranti episodi ambientati a trent’anni di distanza, furono mischiati un unico brano, peraltro tradotto e ritradotto fra inglese e francese, e pesantemente rimaneggiato. L’episodio della caduta delle unghie non è descritto come dovuto all’utilizzo dell’arma (che nel testo originale risultava nel frattempo già distrutta), ma all’opera di topi e ratti, che rosicchiarono i cadaveri di gente morta in una battaglia combattuta non con la temibile arma, ma con pentole e padelle!
Quindi due brani diversi e totalmente staccati fra loro, ambientati originariamente a trent’anni di distanza, sono stati presentati forzatamente da Pauwels & Bergier come due episodi strettamente legati fra loro. Ogni autore successivo ha poi abbellito la storia sempre di più, citando l’autore precedente, ma senza preoccuparsi di andare a verificare sul testo originale. In maniera del tutto disonesta intellettualmente, Pauwels & Bergier omisero quindi di dire che la perdita di unghie e capelli accadeva a gente già morta ed era dovuta all’azione di roditori e lasciarono intendere che il testo facesse riferimento a un avvenimento che nell’originale è del tutto scollegato alla temibile arma. È opportuno ribadire che questa operazione fu fatta dagli stessi due autori che erano anche i fautori di quello che loro chiamavano “realismo magico”, cioè un tentativo volutamente irrazionale di interpretare la realtà.
Questo esempio ci mostra anche che l’approccio usato dalla paleoastronautica è anche acritico, anche perché spesso rimuove gli elementi dal proprio contesto e li ricolloca in uno nuovo: per sostenere che il Mahabarata parli di una bomba atomica, si sono presi due brani dal loro contesto e li si è ricollocati in un contesto totalmente nuovo, stravolgendo così le intenzioni dell’autore o degli autori. Come abbiamo visto, invece, per avvicinarsi il più possibile al significato di un termine o di un brano, il contesto è tutto. Nel mondo accademico, qualsiasi teoria storica che non tenga conto del contesto e che non citi le fonti, viene quindi scartata a priori. Quindi, se la paleoastronautica non è considerata valida dal mondo accademico non è perché le si riservi un trattamento di sfavore, ma perché non usa i metodi che sono stati sviluppati apposta per trattare le fonti nel modo più oggettivo possibile, anzi decontestualizza parole o brani o particolari iconografici e li reinterpreta senza fornire motivazioni oggettive.
Un terzo grosso difetto della paleoastronautica è quello che ho definito “eterodisciplinarietà”: se l’approccio storico-critico a un testo antico è interdisciplinare, richiedente cioè conoscenze linguistiche, storiche, filologiche, archeologiche, filosofiche, storico-culturali, ecc., spesso i teorici del paleocontatto approcciano i testi applicando diverse discipline tranne quelle necessarie a studiare i testi stessi. Ora, quando leggiamo un testo, per forza di cose per comprenderlo facciamo riferimento al nostro bagaglio culturale, questo è banale. Degli astrofisici tenderanno quindi a vedere nel VA 243 una rappresentazione del sistema solare, degli ingegneri potrebbero vedere delle macchine volanti nei racconti dei Vimana o nella visione del carro di Ezechiele, così come dei neurochirurghi potrebbero interpretare la guarigione del figlio della Sunammita da parte di Eliseo (2Re 4,29-37) come un’operazione chirurgica al cervello, e così via. Non c’è assolutamente niente di male in ciò, anzi, ben venga l’interdisciplinerietà, ma quest’operazione di analisi dovrebbe avvenire dopo lo studio specialistico storico-critico del testo. Per tornare agli esempi appena citati, un approccio critico dimostra, così, che Sumeri non hanno mai rappresentato così il Sole, che i cherubini sono descritti da Ezechiele non come eliche, ma come aventi quattro facce di animali terrestri e zoccoli di animale, e che il figlio della Sunammita non guarì grazie al bastone (usato peraltro da un servo), ma grazie all’intervento diretto di Eliseo, che lo resuscitò con un contatto diretto corpo a corpo. Un esperto di un campo (astrofisico, ingegnere, medico, ecc.), se non ha sufficiente padronanza della lingua del testo che ha davanti e una solida conoscenza della cultura che lo ha prodotto, finirà per considerare solo i pochi elementi che sembrano confermare quanto già sa e per trascurare i tanti elementi macroscopici che contraddicono invece la propria interpretazione.
Le presunte “conferme” della paleoastronautica appaiono essere, quindi, solo frutto di un fenomeno che gli psicologi chiamano “bias di conferma”. Quest’ultimo è del tutto naturale, ma è facilmente neutralizzato con un approccio critico basato su prove e non su semplici ipotesi o, peggio, sul “fare finta che…”™.
Ecco quindi spiegato, in buona sostanza, perché la paleoastronautica non è accettata dal mondo accademico: si pone essa stessa al di fuori della scienza non adottandone i metodi, e il metodo è l’unica cosa che separa la scienza dalla pseudoscienza. Certamente non aiuta il fatto che sia proposta da persone competenti magari in altri campi, quando va bene, se non da ciarlatani patentati, quando va male, ma in ogni caso mai da qualcuno che usi un metodo storico-critico serio.
Come se non bastasse, almeno dall’epoca di Pauwels & Bergier e Kolosimo in poi, si ripete spesso che l’accademia sarebbe dogmatica, in contrasto alla presunta apertura mentale di chi si occupa di storia “alternativa” e “non ufficiale”. Intanto, “apertura mentale” non vuol dire “credulità a qualsiasi ipotesi venga presentata”. È segno di apertura mentale, invece, proprio il provare a calarsi il più possibile nel modo di pensare di chi ha prodotto il testo che si trova davanti, che è quello che ci si sforza di fare negli studi universitari. Apertura mentale è mettere da parte i propri schemi mentali e le proprie categorie interpretative, riconoscere che sono propri della cultura in cui si è cresciuti e soprattutto lasciar parlare il testo, invece di parlargli sopra. A tutto questo servono le discipline storiche e filologiche e i loro metodi messi a punto in secoli di studi.
Metodi che sono invece del tutto ignorati dai cultori della paleoastronautica e della pseudostoria in genere. Costoro prendono dei brani di testi antichi, li rimuovono dal contesto e, volendo leggervi a forza elementi che fanno parte del proprio bagaglio culturale, forzano i testi per far dire loro cose che in realtà non intendevano. Trovo che questo sia l’esatto opposto dell’apertura mentale, a maggior ragione quando poi si insiste nel dire che quella sarebbe l’unica lettura possibile, o quella autentica. Approcciarsi, senza arte né parte (nessuno degli autori di paleoastronautica che ho conosciuto finora è infatti uno specialista) a questioni così complesse, rifiutarsi di portare prove concrete che non siano sovrainterpretazioni del tutto ipotetiche non è affatto apertura mentale. Inoltre, aspettarsi che il mondo accademico riscriva la storia solo perché si sono presentate delle semplici ipotesi non è affatto segno di umiltà, così come decontestualizzare i brani o i singoli termini per stravolgere il significato dei testi non è neanche un fulgido esempio di onestà intellettuale.
Infine, una precisazione: la cosiddetta “scienza ufficiale” non esclude a priori che vi possa essere stato un contatto in passato. Non esiste nessun dogma anti-paleoastronautica. Più semplicemente, quest’ultima non si è mai preoccupata di fornire prove convincenti: tutto ciò che è stato finora presentato come prova dagli autori o sono interpretazioni soggettive e tendenziose o sono in alcuni casi vere e proprie mistificazioni (rimando alla bibliografia per un esame sistematico di tutte le presunte prove finora presentate). Quando, se, saranno presentate prove convincenti, a differenza di come è stato fatto finora, il mondo accademico si metterà in discussione, così come ha sempre fatto e come invece non ha mai fatto il chiuso mondo della paleoastronautica, che ripete continuamente gli stessi «e se… ?» da ormai quasi due secoli, senza essere mai approdata a nulla di concreto.
Bibliografia
- Jason Colavito, Faking History. Essays on Aliens, Atlantis, Monsters, and More, Albany 2013 (ebook).
- Kenneth L. Feder, Frauds, Myths, and Mysteries. Science and Pseudoscience in Archaeology, McGraw Hill 2014 (8a ed.).
- Michael Shermer, Why people believe weird things, Henry Holt and Company
New York 2002 (1a ed. 1991).