24. “Il ‘fare finta che’ è solo un’ipotesi”


Più che un’ipotesi, a me sembra un pretesto bello e buono.

Parte dal presupposto che non sappiamo chi ha scritto i testi, e quindi non resta che fare finta che quello che dicono sia vero. Si tratta, però, di un ragionamento sbagliato, che per giunta si basa su premesse false. Infatti anche se non sappiamo nome e cognome, ciò non impedisce di studiare il testo criticamente e collocarlo nel suo contesto storico, in base al contenuto stesso. Tra l’altro, proprio perché non sappiamo nome e cognome degli autori e quindi non abbiamo nessuna garanzia di affidabilità, a maggior ragione la cosa più prudente da fare è non credere automaticamente a ciò che c’è scritto. Vi possono essere diverse ragioni per cui un testo è stato scritto e non c’è niente di più probabile che in diversi punti vi siano contenuti intenti propagandistici di una casta sacerdotale.

Tra l’altro, lo stesso Biglino sostiene che la Bibbia sarebbe stata pesantemente manipolata dai sacerdoti e dai teologi, quindi a maggior ragione, prenderla alla lettera è l’utima cosa che si dovrebbe fare. Quindi tutta la sua operazione non ha assolutamente senso da un punto di vista puramente logico.

Inoltre, se su questa ipotesi si basano ulteriori ipotesi, allora si entra nel campo della fantasia pura, perché le ipotesi vanno basate tutt’al più sui dati concreti. Un’ipotesi dev’essere tutt’al più un punto di arrivo, non un punto di partenza per altre ipotesi ancora, all’infinito, perché se no questo non è più fare ricerca ma crearsi un mondo immaginario. Ecco perché la paleoastronautica non è considerata nel mondo accademico: perché è un’ipotesi su cui poi ne vengono costruite altre, finendo per non distinguere più la realtà dalla fantasia.

Senza contare che Biglino evita accuratamente di citare punti imbarazzanti per la sua interpretazione, quali quelli in cui YHWH dice chiaramente di aver creato il mondo (cap. 38 del libro di Giobbe), in cui un’asina parla (libro dei Numeri, cap. 22) o anche quando nella Genesi stessa il serpente parla. In quest’ultimo caso, Biglino sostiene che il serpente sarebbe in realtà uno scienziato alieno e che la mela indicherebbe la sessualità, mandando quindi all’aria tutti i suoi propositi di lettura letterale. Stranamente, pochi si sono accorti di questa contraddizione.

Per di più, c’è anche la risposta che ha dato a Dario Bressanini, quando quest’ultimo lo ha rimproverato di non aver capito niente del suo articolo: «in quel momento c’era chi faceva quelle cose lì», dice Biglino, riferendosi ai presunti esperimenti di genetica sul grano. Il problema è che nella Bibbia non c’è nessun passo, neanche interpretato col “fare finta che”, che racconti della creazione del grano tramite l’unione tra due specie. Quindi, alla fine, il “fare finta che” è usato come pretesto per dire quello che si vuole, quasi come una scorciatoia per evitare di argomentare. Anche perché può sempre usare la scusa che, alla fine, sta facendo solo finta, no?

In altre parole, no, il “fare finta che” non è una semplice ipotesi. È un modo fallace di procedere, basato su premesse sbagliate e su conclusioni altrettanto sbagliate, che è usato solo nei punti in cui fa comodo e non usato nei punti scomodi. Nonostante sia da scartare proprio in base a quanto appena detto, questa ipotesi è usata come base per altre ipotesi (ammettendo quindi implicitamente che non si sta facendo finta, per cui v. punto 1) o addirittura per implicare cose a cui la Bibbia non accena neanche, quale ad esempio la presunta creazione del grano.

Infine, l’efficacia di questo “fare finta che” non solo non è stata dimostrata, ma anzi si può facilmente mostrare come, applicata a qualsiasi altro testo, produca risultati assurdi. Il “fare finta che” è quindi un modo di procedere del tutto inaffidabile.

Questo, secondo me, da solo basterebbe a demolire dalle fondamente tutto l’impianto teorico bigliniano, al di là delle traduzioni dei singoli termini e al di là di ogni questione ideologica.


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