Categoria particolare di quelli che preferiscono attaccare ad hominem è quella dei negazionisti. Sono quelli che dubitano, quando non negano apertamente, che un critico delle teorie del proprio idolo possa davvero avere dei titoli o delle competenze maggiori di quelle dell’autore che vogliono difendere a tutti i costi.
È curioso infatti che non abbiano indagato minimamente sul suo passato e sulla sua formazione in ebraico: in un’intervista, lui stesso dice di aver preso 20-25 lezioni di ebraico e aver proseguito qualche mese da autodidatta.



Il fatto che abbia lavorato alle edizioni San Paolo è considerato, molto ingenuamente da parte di chi non conosce affatto il mestiere, il massimo a cui un ebraista possa aspirare. Molti si fidano ancora ciecamente, nonostante, pur di aver ragione contro Dario Bressanini, sia arrivato a spacciare per ricercatore di un centro di ricerca una persona che si vanta di non aver finito neanche le elementari.
Quanti, invece, nei commenti non ricordano a Biglino che non è professore? E come mai non l’ho mai sentito correggere l’intervistatore di turno che lo chiama così, dicendo “guardate che non sono professore”? Chi è che davvero, anche solo per omissione, sta lasciando credere cose non vere sulla propria “accademicità”?
Io i miei titoli ce li ho, altrimenti non potrei fare il ricercatore. L’ebraico lo parlo abbastanza al punto di poter fare conferenze, quindi non ho bisogno di dimostrare nulla ai seguaci del “professore”. Mi bastano e mi avanzano i riconoscimenti da parte di chi conosce molto meglio di me la lingua, la storia e la cultura ebraiche.
Se questi scettici lo fossero fino in fondo e applicassero al loro idolo anche solo la metà dello scetticismo che applicano verso i suoi critici, forse smetterebbero di essere suoi fan. E forse proprio questo è il motivo per cui preferiscono non indagare e attaccare invece chi osa criticarlo.