L’esoterismo di “Impronte degli dèi”

Al classico della pseudostoria Impronte degli dèi (ed. or. Fingerprints of the gods, 1995) del noto autore Graham Hancock ho di recente dedicato un video. In questo articolo vorrei aggiungere ulteriori considerazioni su quel libro, da cui rimasi affascinato quand’ero ragazzo.

Riassumendo in breve il contenuto di 600 e passa pagine del libro, la tesi di Hancock è che sarebbe esistita una civiltà più antica di quelle finora conosciute, che sarebbe scomparsa per via di un cataclisma. Tale cataclisma consisterebbe nello slittamento della crosta terrestre in modo analogo a come slitterebbe la buccia di un’arancia se non fosse attaccata al resto del frutto. Questo presunto cataclisma sarebbe in qualche modo correlato con il fenomeno astronomico noto come precessione degli equinozi e sarebbe quindi prevedibile con calcoli matematici. I superstiti di tale presunta civiltà antica sarebbero approdati in diversi luoghi del mondo e avrebbero comunicato le proprie conoscenze, creando così le civiltà antiche come le conosciamo noi oggi. Parte consistente del presunto messaggio lasciatoci dalla presunta civiltà consisterebbe proprio nella codifica, attraverso numeri ricorrenti nei vari miti sparsi nel mondo, dell’allusione al fenomeno della precessione, al fine di mettere in guardia le future generazioni del pericolo incombente. Tale data fatidica sarebbe la fine del cosiddetto “Quinto Sole” delle mitologie mesoamericane e corrisponderebbe al 21 Dicembre 2012 (ricordo che il libro è stato scritto negli anni ’90 del secolo scorso).

A pag. 399 paventa l’idea che la Grande Piramide sia stata costruita per comunicare dei messaggi a pochi iniziati, tra cui, ovviamente, ci sarebbe lui (corsivo mio):

«la piramide non sembrava forse progettata per invitare gli esseri umani dotati di intelligenza e curiosità a penetrare i suoi misteri?»

Il tema del messaggio nascosto dagli antichi che solo lui e i suoi amici sarebbero in grado di capire ritorna con il racconto della sua conversazione con l’altro autore di pseudostoria Robert Bauval, di cui dice che possiederebbe «un’intelligenza di prim’ordine»:

È chiaro quindi che il sottotesto sia che lui sarebbe tra i pochi intelligenti, mentre gli accademici sarebbero stupidi.

Impronte degli dèi non mi sembra voler parlare tanto della presunta antica civiltà quanto invece di Graham Hancock stesso. Il libro è un corposo diario di viaggio di centinaia di pagine in cui l’autore mescola impressioni personali a dati scientifici travisati o ricollocati in un contesto nuovo. In questi viaggi, l’autore pone continuamente se stesso in primo piano, beandosi della sua superiorità intellettuale che gli avrebbe permesso di decifrare presunti messaggi accuratamente nascosti da questa presunta civiltà nei vari miti e manufatti.

Per rispondere quindi ancora una volta alla domanda che mi ponevo decenni fa sul silenzio degli accademici sugli argomenti trattati da Hancock e quelli come lui: questi ultimi ritengono di essere tra i pochi intelligenti, deningrando gli accademici. Inoltre, ritenere che gli antichi abbiano compiuto immani sforzi, quali costruire una piramide, solo per comunicare qualcosa a loro e a nessun altro, più che a una teoria scientifica, fa pensare di più a un delirio narcisistico.

Insomma, Impronte degli dèi può essere riassunto in un’unica frase resa celebre dal film Il marchese del Grillo:

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