Archeologia, videogiochi e pseudostoria

Entombed

Nel 1982, praticamente agli albori dell’era videoludica, per la storica console Atari 2600 uscì un videogioco di nome Entombed. Certo, non divenne popolare come Pac-Man, né fu disprezzato come E.T., considerato a tutt’oggi uno dei peggiori videogiochi mai realizzati (se non proprio il peggiore in assoluto), ma presentava una sfida non indifferente, da diversi punti di vista. Il gioco consiste nell’impersonare tre archeologi che devono uscire da catacombe infestate da esseri il cui contatto era letale. Queste catacombe, dalla struttura simmetrica, scorrono automaticamente dal basso verso l’alto, senza la possibilità di tornare indietro, e il giocatore deve evitare di finire in un vicolo cieco o imbattersi nei vari mostri.

Per chi volesse provarlo per curiosità, è disponibile gratuitamente sul sito archive.org. Chi invece non volesse scaricarlo o volesse solo avere un’idea del suo funzionamento, rimando a questo video su YouTube. Non va confuso con un gioco dallo stesso titolo uscito nel 1985 per Commodore 64, che aveva premesse simili, ma una struttura diversa (platform a scorrimento orizzontale).

La particolarità di questo videogioco è che i labirinti venivano creati in tempo reale: in altre parole, ciò che, nello scorrere dei livelli, appare nella parte bassa dello schermo è creato “al volo” basandosi di volta in volta sugli ultimi segmenti appena creati. Avendo a disposizione solo 128 byte di memoria (cioè meno di un tweet!), infatti, non c’era spazio per creare i livelli e inserirli nel programma e non restava altro che generarli in modo casuale di volta in volta. In questo modo, ogni partita, peraltro, risulta diversa da tutte le altre.

Questo gioco è stato di recente oggetto di uno studio universitario che si chiede quale sia esattamente l’algoritmo usato nel generare di volta in volta i percorsi, perché, anche tenendo conto della simmetria dei livelli, al momento non si trova una spiegazione su come si riesca, con soli 128 byte a disposizione, a far sì che si creino in tempo reale delle catacombe da cui si possa uscire.

Cosa c’entra la pseudostoria con tutto questo? Non tanto il fatto che i protagonisti sono archeologi che affrontano mostri vari, ma il fatto che a distanza di pochi decenni non si riesce a capire che soluzione tecnica si sia adottata in un manufatto di cui conosciamo benissimo (anche se, è evidente, non perfettamente) l’origine e la storia. Tra l’altro, a quanto pare, chi ha avuto l’idea di questo algoritmo non era neanche perfettamente sobrio quando l’ha realizzato. Al momento, quindi, l’enigma rimane senza risposta, anche se si vanno a interpellare i diretti interessati.

La pseudostoria c’entra con tutto questo perché spesso, quando si parla di piramidi o altre realizzazioni ingegnose di popoli antichi, si usa come argomentazione quella secondo cui, visto che non sappiamo come abbiano sollevato i pesi, levigato così bene le pietre o allineati astronomicamente i siti, allora tutto ciò deve essere stato per forza realizzato con congegni tecnologicamente avanzati. Ma che un ipotetico ingegnere di oggi non riesca a capire come abbiano costruito le piramidi o Baalbek o Stonehenge, non vuol dire che sia di fatto impossibile.

Con tutti i mezzi a nostra disposizione, non riusciamo a capire come abbiano fatto a realizzare un algoritmo che risale a meno di quarant’anni fa. Quindi, come pretendiamo di giudicare come impossibili delle opere così lontane nello spazio e nel tempo?

La necessità aguzza l’ingegno. Se si dovesse prendere uno sviluppatore di videogiochi dei giorni nostri e gli si dicesse di realizzare un algoritmo che generi in tempo reale un labirinto simmetrico, mantenendo la possibilità di uscirne e avendo a disposizione solo 128 byte, molto probabilmente non saprebbe come fare. Se gli si chiedesse a bruciapelo se una cosa del genere sia possibile, forse risponderebbe di no. Ma ciò non vuol dire che abbia ragione.

Allo stesso modo, non devono essere i pochi mezzi che avevano a disposizione gli antichi egizi nel costruire le piramidi o i romani nel porre il trilithon di Baalbek a farci ritenere che siano opere impossibili per l’epoca. Piuttosto dovremmo metterci in discussione e provare a capire come abbiano fatto, basandoci quanto più possibile sulle prove concrete e non ipotizzando l’intervento di presunte civiltà di cui non abbiamo prove indipendenti.

Che non sappiamo come abbiano fatto, non vuol dire che siano stati gli alieni o gli atlantidei o chi per loro.

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